giovedì 25 ottobre 2018

Quota 100, Quanto si perde andando in pensione prima...


Quota 100, Quanto si perde andando in pensione prima…


Il meccanismo contenuto nella legge di bilancio non prevede alcuna penalità sulle regole di calcolo dell'assegno. Ma nonostante ciò continuano a girare cifre allarmanti circa una riduzione del trattamento sino al 20%.

In questi giorni continuano ad essere rilanciate tante percentuali su quanto perdono in pensionati andando in pensione con la quota 100 anzichè attendere l'età (o i contributi) necessari per la pensione con le regole attuali. Si parla di penalità che vanno dal 5 al 20% e ci si lascia ad una serie di commenti che lascerebbero intuire che aderire alla novità non sarebbe conveniente. Per tutelare il valore dell'assegno. Questi ragionamenti fanno un pò sorridere; è un pò come fare la scoperta dall'acqua calda.
E' ovvio che se vado in pensione con 38 anni di lavoro e 62 anni invece che attendere i 42/43 anni previsti con la Legge Fornero, la pensione risulterà inferiore per via del fatto che ho lasciato prima il posto di lavoro. Otterrò una pensione inferiore perchè ho versato meno contributi rispetto ad una persona che si ritira 5 anni dopo. E perchè tecnicamente si riduce il rendimento della quota contributiva della pensione dato che attiverò un coefficiente di trasformazione inferiore rispetto a quello che godrei aspettando altri cinque anni. Ma questo discorso lo potrebbe fare anche una persona che ha 42 anni di contributi e decide, pur potendo andare in pensione attualmente, di restare in servizio per altri 3 anni, sino a 45 anni di contributi. Non diremmo certo che se esce "subito", con 42 anni di versamenti, sta subendo una penalità sulla pensione. Fa parte delle regole del gioco.
Per cui ragionare esclusivamente in termini di quanto perderei sul reddito pensionistico in realtà non ha molto senso. Quel che conta sapere è che la quota 100 non prevede penalità sulle regole di calcolo della pensione, dato non affatto scontato sino a poco tempo fa. Pertanto se ho 18 anni di contributi al 1995 continuerò ad avere il calcolo retributivo sino al 2011; se ho meno di 18 anni al 1995 la pensione mi sarà calcolata con il contributivo dal 1996 in poi. E' appena il caso di evidenziare, peraltro, come la maggior parte dei beneficiari della quota 100 si trova nella seconda casistica e, quindi, ha larga parte dell'assegno calcolata con il sistema contributivo. Avrebbe quindi più senso chiederci quanto rende un anno in più di lavoro in pensione secondo le normali regole di calcolo dell'assegno.                                      La tavola sottostante riepiloga tutti i coefficienti di trasformazione vigenti. 
Una cosa di cui, inoltre, non si tiene conto riguarda la distinzione da fare tra quanti sono ancora in costanza di attività lavorativa e quanti no. Per i primi si può concretizzare l'opzione di cui abbiamo appena discusso, e cioè restare comunque in servizio arrivando maturare una pensione più succulenta, per i secondi evidentemente no. Per queste platee l'alternativa attuale è attendere l'età di 67 anni. E' chiaro che se dal prossimo anno ci sarà l'opzione di uscire con 62 anni e 38 di contributi chi avrà questi requisiti aderirà al regime senza farsi troppi problemi.

sabato 20 ottobre 2018

Congresso SLC CGIL Milano.

 Francesco Aufieri  riconfermato  segretario Generale …


 Componenti Segreteria: F. Sole , P. Bentivegna, F. Aufieri




sabato 6 ottobre 2018

Come si calcola la pensione per i lavoratori delle poste !!!



Anche dopo la soppressione dell'Ipost gli ex dipendenti delle poste hanno mantenuto l'assimilazione dal punto di vista previdenziale ai lavoratori statali. Ecco le principali regole per il calcolo della pensione.


Per gli ex dipendenti delle poste risulta sempre piuttosto difficile la comprensione delle regole per il pensionamento. Colpa di una serie di interventi normativi non sempre chiari nel loro intento e di una privatizzazione non del tutto completa del rapporto di lavoro. Vale quindi la pena ripercorrere brevemente la storia di questi assicurati.

Sino al 1994 i dipendenti postali erano pubblici impiegati ed il relativo rapporto previdenziale era interamente analogo a quello degli altri dipendenti statali (es. insegnanti, magistrati eccetera). La loro posizione previdenziale era regolata dal DPR 1092/1973 con iscrizione previdenziale al conto assicurativo del Ministero del Tesoro. Dal 1° agosto 1994 a seguito della legge n. 71 del 1994 il legislatore stabilì l'iscrizione di tutto il personale di Poste Italiane presso il Fondo di Quiescenza dell’Istituto Postelegrafonici (Fondo Ipost). A seguito del trasferimento, ai sensi dell’art. 2 del D.M. 12 giugno 1995, n. 329, l’Istituto Postelegrafonici provvedeva ad erogare il trattamento di quiescenza e previdenza nonché le prestazioni di assistenza e mutualità in favore degli iscritti, sulla base di leggi, regolamenti e patti stipulati in applicazione di accordi di lavoro.

Il Fondo Ipost ha avuto vita sino al 31 maggio 2010 quando l’art. 7, comma 2, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n.122, ne ha disposto la soppressione ed il trasferimento delle relative funzioni all'Inps. Durante questi anni il settore ha visto importanti cambiamenti con la privatizzazione dell'Ente Poste che è divenuta una SPA con numerose società collegate e la una progressiva trasformazione del rapporto di lavoro per i dipendenti.

Nonostante le vicissitudini relative al cambio di veste le regole di calcolo della pensione per gli ex dipendenti postali e delle società collegate a Poste Italiane SPA resta soggetta a regole particolari, a metà strada tra quelle vigenti per i dipendenti pubblici e quelle previste per i lavoratori del settore privato. Infatti nonostante la profonda trasformazione la liquidazione dei trattamenti di quiescenza del personale continua ad essere determinata in base all’ordinamento pensionistico previsto per gli iscritti alla Cassa dei trattamenti pensionistici dello Stato (CTPS) applicando interamente le regole di cui al DPR 1092/1973 per i dipendenti statali.

I criteri distintivi

Ciò comporta che al pari degli altri dipendenti statali, pertanto,le regole di calcolo della pensione sono più favorevoli rispetto ai lavoratori dipendenti del settore privato per quattro fattori principali: 1) la presenza di rendimenti più generosi nelle quote di pensione calcolate con il sistema retributivo; 2) l'assenza di un tetto pensionabile almeno sino al 1993; 3) la possibilità di godere di una maggiorazione della base pensionabile pari al 18% dello stipendio con esclusione dell'IIS (legge 177/1976); 4) la possibilità di calcolare la quota di pensione riferita alle anzianità maturate sino al 1992 sulla base dello stipendio in godimento al momento della cessazione. Con l'introduzione del sistema contributivo, dal 2012 o dal 1996 a seconda rispettivamente se l'assicurato vanta o meno 18 anni di contributi al 1995 molte di queste differenze sono andate attenuandosi.

Al pari degli altri dipendenti statali ai lavoratori delle poste non è riconosciuto l'assegno ordinario di invalidità ma la pensione di inabilità alle mansioni (per la quale occorrono almeno 15 anni di servizio); è riconosciuta però la facoltà del computo gratuito (e d'ufficio) dei servizi prestati in altre amministrazioni dello stato ai sensi degli artt. 113 e 115 del DPR 1092/1973; vi sono forti ostacoli alla concessione del supplemento di pensione per eventuale rioccupazione dopo la pensione; l'anzianità assicurativa è espressa in giorni, mesi ed anni e non in settimane; a seguito della Riforma Fornero dal 2012 non è più riconosciuta la pensione privilegiata; l’aliquota di finanziamento del trattamento di quiescenza è pari a 32,65%, di cui 23,80% a carico del datore di lavoro e 8,85% a carico del lavoratore.

A differenza delle lavoratrici statali ai fini della pensione di vecchiaia le lavoratrici delle poste sono state considerate come lavoratrici del settore privato. Pertanto sino al 31 dicembre 2011 queste potevano pensionarsi con un'età anagrafica di 60 anni anzichè 65 anni e solo dal 1° gennaio 2018, con la scomparsa della distinzione tra pubblico e privato dovuta alla Legge Fornero, l'età pensionabile ha raggiunto l'età stabilita per le donne del pubblico impiego, vale a dire 66 anni e 7 mesi (cfr: Circolare Inps 100/2011; Circ. Inps 35/2011)

Parte Retributiva

I coefficienti di rendimento delle anzianità soggette al calcolo retributivo sono quelli previsti dall'articolo 44 del DPR 1092/1973 per i dipendenti civili dello Stato (vale a dire 2,33% per i primi 15 anni di contribuzione e 1,8% per gli anni successivi entro il massimo dell'80% della base pensionabile). Dal 1995 l'aliquota di rendimento non può superare il 2%. La parte retributiva dell'assegno si compone della Quota A determinata sulla base dell'anzianità contributiva in possesso al 31.12.1992 e che si calcola in base all'ultimo stipendio percepito al momento del pensionamento e della quota B determinata con i criteri di cui al Dlgs 502/1993 riferita alle anzianità contributive maturate tra il 1° gennaio 1993 ed il 31 dicembre 1995 (31 dicembre 2011 se l'assicurato vanta almeno 18 anni di contributi al 1995) e che si calcola sulla base della media delle retribuzioni pensionabili percepitenegli ultimi 10 anni di servizio(se al 31.12.1992 c'erano almeno 15 anni di contributi) o sulla base della media delle retribuzioni pensionabili percepite dal 1993 al pensionamento (se al 31.12.1992 non c'erano 15 anni di contributi).

Parte contributiva

La parte contributiva della pensione (quota C) si applica pro rata dal 1° gennaio 1996 per i postali in possesso di meno di 18 anni di contributi al 1995 o dal 1° gennaio 2012 per coloro in possesso di almeno 18 anni di contributi al 1995. Per  il personale assunto in servizio dal 1996 l'intero assegno è determinato con le regole di calcolo contributive. La quota contributiva della pensione è determinata moltiplicando la base pensionabile annua per l'aliquota di computo (33%); il montante così determinato è rivalutato per la media quinquennale della variazione del PIL (tasso di capitalizzazione). Alla fine della carriera lavorativa il montate totale viene moltiplicato per i coefficienti di trasformazione vigenti alla data di pensionamento determinando così l'importo lordo annuo della pensione.
D. Lavorato




Riforma Pensioni, Ecco cosa c'è scritto nel DEF per il 2019 !!!

Riforma Pensioni, Ecco cosa c'è scritto nel DEF per il 2019 !!!
La consegna del Documento di Economia e Finanza alle Camere certifica la quota 100 con 62 anni e 38 di contributi. Nessun riferimento alla pensione con 41 anni di contributi a prescindere dall'età anagrafica.

l Nadef, acronimo che sta per Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza, consegnato ieri alle Camere mette nero su bianco il programma di politica economica e finanziaria del Governo per il prossimo triennio. Complessivamente il programma economico conferma una politica fiscale meno restrittiva rispetto al passato, con un indebitamento netto pari al 2,4 per cento del PIL nel 2019, al 2,1 per cento nel 2020 e all’1,8 per cento nel 2021. Cifre che hanno acceso un duro confronto con l'Unione Europea preoccupata dal mancato rispetto degli impegni assunti dall'Italia per la riduzione del debito pubblico ed il raggiungimento del pareggio di bilancio.

Ad ogni modo questi sono i punti salienti dell'azione di Governo contenuti nel Nadef: 1) Totale cancellazione degli aumenti dell’IVA previsti per il 2019; 2) Introduzione del Reddito di Cittadinanza; 3) Riforma e potenziamento dei centri per l’impiego; 4) Introduzione di modalità di pensionamento anticipato per favorire l’assunzione di lavoratori giovani; 5) Prima fase di attuazione della ‘flat tax’, tramite l’innalzamento delle soglie minime per il regime semplificato d’imposizione su piccole imprese, professionisti e artigiani (nel 2019 l'impegno del Governo è all'innalzamento delle soglie minime per il regime semplificato d’imposizione su piccole imprese, professionisti e artigiani); 6) Taglio dell’imposta sugli utili d’impresa per le aziende che reinvestono i profitti e assumono lavoratori aggiuntivi; 7) Rilancio degli investimenti pubblici attraverso un incremento delle risorse finanziarie, rafforzamento delle capacità tecniche delle amministrazioni. 

Il capitolo pensioni e welfare


Per quanto riguarda il capitolo pensioni il Nadef certifica che la flessibilità in uscita sarà realizzata attraverso l’individuazione della cosiddetta “Quota 100” come somma dell’età anagrafica (62 anni) e contributiva (minimo 38 anni) quale requisito per accedere alle misure previdenziali. "Solo attuando tale ricambio generazionale si raggiungerà anche il fondamentale obiettivo di immettere nuove risorse nel mercato del lavoro che, unitamente al progresso tecnologico, potranno efficientare l’attività sia nel comparto pubblico che in quello privato" scrivono i tecnici nel documento. "Peraltro, il raggiungimento di tale obiettivo, offrendo prospettive di occupazione stabile ai giovani, è uno strumento di contrasto al fenomeno della bassa natalità in Italia che, se non risolta, comporterà problematiche alla sostenibilità del sistema pensionistico in futuro".

Nel documento vi è scritto, inoltre, che un’attenzione particolare sarà rivolta alle donne, caratterizzate da una carriera discontinua. Il Governo punta ad introdurre "anche misure per integrare le pensioni esistenti al valore della soglia di povertà relativa (di 780 euro mensili)". Una parte delle risorse destinate alla realizzazione delle misure verrà dal sistema previdenziale secondo logiche e principi che tengano conto di condizioni di equità e solidarietà. Si tratta di misure largamente anticipate sulle pagine di questa rivista nei giorni scorsi che confermano, almeno per ora, l'assenza di un intervento immediato sulla pensione con 41 anni di contributi a prescindere dall'età anagrafica del lavoratore. 

Reddito di cittadinanza


Altro capitolo importante dedicato dal Nadef è al reddito di cittadinanza. Definito dai tenici come strumento "necessario per accompagnare gli inoccupati nel mondo del lavoro" l’introduzione del Reddito di Cittadinanza avrà un duplice scopo: i) sostenere il reddito di chi si trova al di sotto della soglia di povertà relativa (pari a 780 euro mensili); ii) fornire un incentivo a rientrare nel mercato del lavoro, attraverso la previsione di un percorso formativo vincolante, e dell’obbligo di accettare almeno una delle prime tre proposte di lavoro eque e non lontane dal luogo di residenza del lavoratore. L’attuazione efficace dell’obbligo formativo e della effettiva partecipazione al mercato del lavoro richiederà - scrivono i tecnici - il rafforzamento qualitativo e quantitativo dei centri per l’impiego, tenendo anche conto della necessità di coordinarsi con il livello di governo regionale.

Le altre misure sociali


Sul fronte sociale il documento contiene poi una serie di impegni generici. Si cita la necessità di "rafforzare e innovare gli istituti a sostegno della maternità e a favore della conciliazione della vita privata e della vita professionale sia intervenendo in tema di congedi parentali sia introducendo nuove forme di incentivazione degli investimenti nel welfare familiare aziendale e di promozione, nel settore pubblico e privato, del lavoro agile"; nonchè "interventi mirati al fine di favorire i percorsi di autonomia e assunzione di responsabilità da parte dei giovani, come l'accesso alla casa, sia con riferimento al profilo di garanzie per i mutui immobiliari sia con riguardo all'offerta di edilizia residenziale pubblica e di social housing".